(Viola, la protagonista, è appena stata avvisata telefonicamente che al suo porticciolo sono dovuti intervenire i Vigili del Fuoco. Non le è stato detto per quale motivo).
Mi butto fuori casa lasciando il computer acceso e senza dare le mandate al portoncino. C’è un buio cattivo, fatico a inserire le chiavi nel cruscotto, tanto mi tremano le mani. Mentre guido come una pazza verso il marina, continuo a chiedermi perché siano intervenuti i vigili del fuoco. È inverno, fa un freddo birbone, non ci sono contadini nei campi vicini che ripuliscono e bruciano sterpi. Le barche sono a terra da mesi, batterie staccate, tutto spento. Cerco di convincermi: è successo qualcosa lì vicino, non si tratta del mio marina; magari fosse così.
Non c’è tempo per altre riflessioni. Cinque minuti e sono lì. Già dalla strada sterrata, a un centinaio di metri dal cancello d’ingresso, intravedo un chiarore insolito. Due pattuglie di carabinieri mi fanno cenno di accostare.
«Sono la proprietaria! », urlo dal finestrino senza alzare il piede dall’acceleratore.
Faccio un rocambolesco slalom in mezzo alle due gazzelle, mentre quelli si sbracciano, scendo dalla macchina ancora in moto, libero il cancello da catena e lucchetto.
«Non può stare qui. È pericoloso», intima uno dei carabinieri raggiungendomi col fiatone.
«Sono la proprietaria», gli strillo sul muso. Corro nel buio verso due enormi autobotti che sputano acqua dalla strada che costeggia la recinzione. Mi sbraccio: «Sono qui. L’ingresso è aperto. Venite, presto!»
Confusione di uomini e mezzi, un muro di fuoco, fumo denso e appiccicoso, non riesco a respirare. Rumore di macerie che cadono, un boato lacerante mi sfonda lo stomaco, inciampo, mi rialzo, continuo a correre. «Da questa parte. É aperto!». Non mi sentono. O, forse, credo di urlare, ma la mia gola non emette alcun suono. Un altro scoppio, seguito da urla di allarme degli uomini al lavoro. Conto almeno una decina di divise nere con strisce gialle catarifrangenti in precario equilibrio su autoscale sbracciate sul mare di fuoco. Altri stendono chilometri di manichette, le allacciano, le azionano. Ogni lancia è retta da almeno due pompieri e sussulta e sgroppa come un cavallo impazzito.