Quel viso rubicondo e pacioso
color dell’uve rosse d’autunno;
quel corpo con muscoli di pietra;
quelle mani callose
al par d’una carta geografica,
con monti e sentieri impervi;
quell’impugnar la falce
come fosse la penna
per vergare sul diario della vita;
quel sorriso sempre pronto,
pur stampato dalle fatiche,
fan di te un uomo radioso.
Ho compreso che un luogo non c’è
Nel marasma del suono di idee che rimescola il sale con l’acqua…
Nel sole la luna, nell’odio l’amore…
Nel dolore di un mare di sangue… Ferite scoperte…
O di gesta agitate…
Non v’è luogo assolato dove soffri un’arsura molesta…
Non un’alba grigiastra senza il rosa sul retro….
Non c’è…
Non cercarti affannato in un luogo così
Non esisti.
Un sogno
tinteggiato d’azzurro
ti portò a librare
con ali d’Angelo,
su nubi spongiose
intrise d’acqua,
che cogliesti
nel mastello smaltato
di nonna Filomena.
Le nuvole
si sbizzarrirono
in danze ora lente
ora più frenetiche,
volteggiarono,
si scontrarono,
ne uscì grandine
dai chicchi minacciosi,
che sfregiò gli agognati raccolti.
All’improvviso,
fece capolino l’iride
che dipinse il cielo
di soavi colori,
trasformando il broncio del dì
in preziosa opera d’arte
dalle incantevoli sfumature;
tu continuasti a volare,
lassù.