Preso dalle meraviglie della Via Lattea, Jack girò lo sguardo verso il bordo della galassia e lì si spalancò il vuoto delle distanze, il luccichio di miliardi di galassie vicine e lontane, l’amara splendida realtà di una solitudine che non è assenza, dove l’irrinunciabile desiderio di scoperta insito nell’uomo spinge a capire, come nei mari alla scoperta delle Americhe, come nella conquista di vette di montagne impossibili, come nella realizzazione e nell’esplorazione delle profondità dell’inconscio, dell’infinito mondo della scienza e dello spirito. Tutto riportava alla sensazione di oscuro conoscibile che Jack stava provando davanti a un’inspiegabile attrazione costruttiva di senso.
Ripensò a un regalo di compleanno. Aveva dieci anni, sua madre gli regalò un cannocchiale sufficiente a vedere chiaramente i crateri lunari. Lo stupore di Jack lo portò a trascorrere intere serate a contemplare in uno stato di fuga dalla realtà, avvicinava l’occhio al mirino e si chiudeva in quelle immagini di silenzio aprendosi a un’altra dimensione. La luna illuminata dal sole pareva brillare di luce propria, la luna per Jack aveva un’anima e questa presenza gli dava modo di sentirsi meno solo.
La solitudine era sempre stata presente nella sua vita dopo che suo padre se ne era andato. Viveva con la madre Pamela Robson e il suo compagno Arthur Break. Si erano conosciuti durante un incontro per affari: lui rappresentante di scarpe, lei rivenditrice e proprietaria da generazioni di un negozio di abbigliamento che aveva chiamato “Cuore d’Oro” in pieno contrasto con la propria incapacità di donare affetto. Una vita dura la sua, fatta di illusioni d’amore e di speranze d’emancipazione.